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Pubblicato:
5 Novembre 2025
Aggiornato:
5 Novembre 2025
Chi rischia la vita…… Un Messaggero…..
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Nota redazionale:
Tutte le notizie pubblicate da Italfaber provengono da fonti giornalistiche locali del Paese a cui la notizia si riferisce. Le rielaborazioni sono effettuate al solo scopo di rendere i contenuti più chiari, neutrali e accessibili a un pubblico internazionale, nel rispetto della forma originaria. L’intento è favorire una comprensione diretta e non filtrata degli eventi, così come vengono percepiti e raccontati nei contesti di origine. La categoria dell'articolo indica il pese di provenienza della notizia.
Chi rischia la vita…… Un Messaggero…..
“OGGI HO SCRITTO POCO” – LA STANCHEZZA E LA DIGNITÀ DI CHI NON SMETTE DI CREDERE NELLA VERITÀ
Il racconto di un giornalista che non si arrende al silenzio, anche quando il mondo sembra voltarsi dall’altra parte
Oggi ho scritto poco.
Non per mancanza di tempo, ma per mancanza di forze.
A volte la mente è piena di parole, ma il cuore non ce la fa a pronunciarle.
Ripensavo a Mohammed Abu Hatab, giornalista ucciso mentre faceva semplicemente il suo lavoro: raccontare.
Un lavoro che dovrebbe essere una missione di verità e che invece, in certi angoli del mondo, si paga con la vita.
Ripensavo a lui, e a tutti gli altri.
Alle migliaia di civili innocenti, alle donne e ai bambini che continuano a morire ogni giorno, in un silenzio assordante e colpevole.
Un silenzio che non è solo assenza di suono, ma presenza di indifferenza.
In questi giorni ho scritto tanto, forse troppo.
Ho raccontato, denunciato, condiviso.
Ogni volta le stesse dinamiche: nei primi minuti il post vola, si diffonde, viene letto, commentato, condiviso.
Poi, all’improvviso, cade nel vuoto.
Non sparisce, ma smette di esistere.
Non lo cancellano, non lo bloccano — sarebbe troppo evidente.
Semplicemente lo oscurano, lo confinano nel margine invisibile di una piattaforma che decide cosa si può e cosa non si deve vedere.
Non mi interessa il numero dei “mi piace”, non scrivo per quello.
Ma è frustrante vedere come la verità venga imbavagliata in modo elegante, senza rumore, senza polemica.
Un algoritmo può cancellare l’indignazione, spegnere il dissenso, seppellire un dolore sotto tonnellate di contenuti futili.
E così tutto scivola, anche l’orrore.
Non sono il solo a notarlo.
Giornalisti, attivisti, persone comuni — tutti dicono la stessa cosa.
È come se si volesse anestetizzare il mondo, togliere voce a chi ancora ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome.
Nel frattempo, gli innocenti muoiono davvero.
Non nei titoli, non nei feed, ma nella realtà.
Uno dopo l’altro, senza volto, senza storia, senza più parola.
E allora sì, oggi non ho scritto.
Perché scrivere, a volte, è un atto di resistenza, ma anche un dolore profondo.
Perché raccontare la morte degli altri sapendo che non cambierà nulla ti scava dentro, ti lascia svuotato.
Domani ricomincerò.
Ricomincerò a scrivere, a raccontare, a dare voce a chi non ne ha.
Perché se smettessi, questa pagina perderebbe senso, e con essa una piccola parte di me.
Ma lo farò con un’infinita tristezza nel cuore, quella che ti prende quando capisci che l’ingiustizia non è più un’eccezione, ma una regola accettata.
– IL VALORE DELLA PAROLA IN UN TEMPO DI SILENZI CALCOLATI
Ci sono giorni in cui un post come questo pesa più di mille notizie.
Perché non parla solo di Gaza, o di Mohammed Abu Hatab.
Parla di una guerra invisibile, quella contro la verità.
Il racconto di questo autore è quello di chi vive sulla propria pelle la frustrazione di scrivere in un mondo che ti ascolta solo finché non disturbi.
È il diario silenzioso di chi sceglie di non essere complice, anche quando tutto intorno si muove per soffocare ogni voce dissonante.
Dietro le sue parole c’è una domanda che brucia:
a cosa serve raccontare, se la verità non arriva più a destinazione?
Eppure, la risposta è lì, tra le righe: serve comunque.
Perché raccontare, oggi, è un atto politico.
È la forma più pura di resistenza civile.
In un tempo in cui i social filtrano la realtà e i governi la manipolano, restare umani significa continuare a scrivere, anche senza speranza di visibilità.
Significa non arrendersi al cinismo né al silenzio.
Questa pagina, queste parole, non sono solo un post.
Sono un manifesto di coscienza, la voce di chi non vuole abituarsi alla disumanità.
E ricordano a tutti noi che, finché esiste qualcuno disposto a scrivere con verità e dolore, non tutto è perduto.
Domande frequenti
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Questo articolo è una rielaborazione redazionale di una notizia originariamente pubblicata da una testata giornalistica esterna. Italfaber non è una testata giornalistica, ma un progetto culturale che offre una sintesi chiara e neutrale dei fatti globali.
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La responsabilità principale della veridicità rimane in capo alla fonte originale citata. Italfaber si impegna a rielaborare i contenuti con accuratezza e a correggere tempestivamente eventuali errori.
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